Articolo di Francesco Sperti, Partner RSM S.p.A. pubblicato su Economy di Luglio 2024.

Scarica il pdf dell’articolo.
 

Il Tra le novità fiscali portate dal recente Decreto legislativo 209/2023, che dà attuazione al primo modulo della riforma fiscale recata dalla Legge delega 111/2023 si segnalano i nuovi criteri di determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche, società ed enti, le novità in tema di CFC (Controlled Foreign Companies), l’incentivo inerente ai lavoratori c.d. impatriati, il recepimento della Direttiva (UE) 2022/2523 relativa all’istituzione della Global Minimum Tax conforme al modello OCSE nell’ambito della disciplina del c.d. Pillar 2.

Certamente, però, la più accattivante delle misure è quella prevista dall’art. 6 del richiamato D.Lgs., che istituisce il nuovo regime del c.d. Reshoring: un'agevolazione finalizzata a promuovere lo svolgimento di attività economiche nel territorio dello Stato, in attuazione dell'art. 3 co. 1 lett. d) della L. 111/2023, che dispone l'introduzione di "misure volte a conformare il sistema di imposizione sul reddito a una maggiore competitività sul piano internazionale", tra le quali "la concessione di incentivi all'investimento o al trasferimento di capitali in Italia per la promozione di attività economiche nel territorio nazionale".

Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito a due grandi ondate di c.d. Offshoring, ossia la dislocazione di imprese produttive al di fuori dell’Italia: dapprima verso i paesi dell’est Europa e poi verso l’Asia.

Il “motore” di questa delocalizzazione è stato alimentato soprattutto da una politica imprenditoriale basata sul comune denominatore del minor costo del personale, rispetto agli standard italiani ed europei. Nel corso del tempo, però, complici anche i noti avvenimenti geopolitici e socio-economici, per prime le imprese di grandi dimensioni hanno saputo leggere meglio e prima i dati macroeconomici e finanziari, prendendo contezza del fatto che elementi come la volatilità delle filiere, costi di spedizione, dazi doganali, incertezza e instabilità politica e finanziaria dovevano essere messi sul piatto della bilancia; ecco che queste realtà economiche hanno cominciato a ripensare al rientro della produzione all’interno dei confini nazionali come una soluzione redditizia e sicura. Tale fenomeno ha poi contribuito al ripensamento dell’intera catena di valore, attraverso un accorciamento ed efficientamento della stessa; un altro elemento migliorativo del rientro sarebbe stato il fatto di essere più vicini ai mercati di sbocco, con minori incertezze, assenza di interruzioni nella catena di approvvigionamento, miglioramento di tempi ed efficienza dell’intero ciclo produttivo.

Le precedenti riflessioni sono state infine accompagnate, nel concreto, dalla possibilità di usufruire di una serie di incentivi, in Italia, per investimenti in tecnologia, automazione ed innovazione, che hanno portato anche alla mitigazione ulteriore del gap di costi del personale, tanto da considerare, infine, l’idea del rientro produttivo come una nuova opportunità industriale. Da considerare, poi, che tale processo potrebbe comportare anche al miglioramento della reputazione in campo ambientale (migliorando processi ed efficienza, si arriva ad un più efficace monitoraggio “da vicino” dell’intero processo produttivo, processi più snelli di previsione e gestione della domanda, con un contenimento anche di eccessi di produzione.

Ecco, dunque, che il Reshoring rappresenta un’opportunità e non solo per le imprese che la attuano, ma anche per le molte PMI che vedono la possibilità di aggrapparsi a queste nuove filiere, garantendo servizi e prodotti di alto livello, puntando sull’eccellenza del Made in Italy e garantendo qualità e tempi migliori, senza andare a discapito della marginalità.

Pare, ora, che il D.lgs. 209/2023 voglia dare l’impulso finale a questo fenomeno, garantendo, con le previsioni, appunto, dell’art. 6, una detassazione pari al 50% dei redditi dell’attività rimpatriata per il primo quinquennio.

Più nello specifico, i redditi delle attività di impresa e di lavoro autonomo prima svolte in un Paese estero non appartenente all'Unione europea o allo Spazio economico europeo e trasferite nel territorio dello Stato non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione netta ai fini IRAP, per il 50% del relativo ammontare.

Ai fini della determinazione dei redditi detassati, si devono mantenere separate evidenze contabili, tali da consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito e del valore della produzione netta agevolabile (art. 6 co. 3 del D.Lgs. 209/2023).

Pertanto, in caso di trasferimento nel territorio italiano di attività economiche prima svolte all’estero, in Paese non appartenente all’UE, esse concorrono a formare il reddito imponibile (ai fini IRES e IRAP) solo per la metà del loro ammontare.

Da come si evince dalla norma, l'agevolazione non si applica alle attività trasferite in Italia ma prima svolte in un Paese dell'Unione europea o in Norvegia, Islanda o Liechtenstein.

Importante notare che la Relazione illustrativa al Decreto consente di fruire delle previsioni dell’art. 6 del D.Lgs 209/2023 anche per le attività d'impresa esercitate da società dello stesso gruppo.

Punto fondamentale è che debba trattarsi di “trasferimento” di asset o di un ramo d'azienda e non della sola residenza dell’entità. Così come va escluso che si possa parlare di “trasferimento” in caso di inizio in Italia di un'attività nuova e diversa da quella già svolta all'estero.

Circa il riferimento temporale, va detto che tale regime si applica per il periodo di imposta in corso al momento del trasferimento e per cinque periodi d'imposta successivi (quindi 6 anni); allo stesso modo, il comma 4 dell’art. 6 del D.Lgs. 209/2023 prevede un meccanismo di recapture qualora si torni ad attuare un Offshoring, anche parziale, delle attività precedentemente oggetto di agevolazione. In tal senso, è stabilito un periodo di monitoraggio di cinque periodi d'imposta (successivi alla scadenza del regime di agevolazione), che diventano di dieci periodi di imposta in caso di grandi imprese (come definite dalla Racc. 2003/361/CE).

In caso di decadenza dall’agevolazione verranno recuperate le maggiori imposte e gli interessi (sembrerebbe non siano previste sanzioni).

Naturalmente, come spesso avviene per tale tipo di incentivi, l’efficacia della norma è subordinata all’autorizzazione della Commissione Europea in tema di aiuti di Stato, ma c’è da credere che si tratti di una iniziativa di assoluto interesse per le imprese rimpatriate e anche per tutto il tessuto produttivo italiano, con sicure ricadute positive in ambito occupazionale.